Gianluca Lancieri cantautore, poeta ed organizzatore di eventi culturali nasce a Rivoli (TO) nel 1980. Il suo esordio letterario è avvenuto con la silloge poetica "Amore ho preso un granchio" (Miraggi Edizioni, 2016) da cui ha tratto uno spettacolo musicale. "Grida e mormorii" è la sua seconda opera letteraria.
Benvenuto Gianluca, Tempra Edizioni è lieta di poter presentare al pubblico, in questa breve intervista, la tua raccolta poetica "Grida e mormorii".
Gianluca: Ciao a tutti i lettori e a Marianna, grazie per questa intervista.
1) La poesia è una forma d’arte capace di trasmettere attraverso un componimento in versi un’esperienza personale o universale, di esprimere emozioni, pensieri e fantasie. Quale poeta è per te fonte d’ispirazione e ha contribuito più di tutti alla tua formazione letteraria?
Uno dei primi poeti che ha subito destato il mio interesse è stato Giuseppe Ungaretti, da cui sicuramente traggo sempre qualcosa. Leggo diversa poesia, ultimamente solo poesia, e credo che le fonti di ispirazione mi siano arrivate attraverso la poesia di Raymond Carver, a cui sono stato associato ben prima che avessi mai letto qualcosa di suo. Senz’altro la poesia di Cesare Pavese, di Jacques Prévert e di Charles Bukowsky, è tra quelle da cui preferisco ricavare qualcosa che sia sincero e che mi soddisfi.
2) Quale ruolo riveste la poesia in questa società ibrida?
Credo che da qualche anno a questa parte Guido Catalano sia stato il propulsore della poesia contemporanea, concedendole un ampio respiro e portandola al grande pubblico. Questo fenomeno ha contribuito alla pubblicazione di nuovi poeti sul mercato. A volte però ho l’impressione che gli autori spuntino come funghi dopo la pioggia; come se uno si alzasse al mattino e invece di farsi il caffè o lavarsi i denti, diventasse un poeta o un autore. Tuttavia credo che sia un periodo di splendore e di rinascita per la poesia contemporanea, certo, la poesia non è mai morta, non muore mai ma certamente potrebbe essere accolta con maggiore interesse dal pubblico maschile che, secondo il mio parere personale, tende ad essere più scarso rispetto a quello femminile.
3) La raccolta poetica "Grida e Mormorii" si caratterizza per l’eloquenza e l’afflizione dei suoi versi, già dal titolo si percepisce il senso di sofferenza e la richiesta d’aiuto. Il dolore può essere considerato "un mormorio" dell’anima?
Chiaramente lascio libera interpretazione al lettore. I mormorii sono spiragli di luce che oltrepassano la persiana del dolore e lasciano intuire sempre una possibilità di fuga. Sebbene la condizione umana sia destinata alla sofferenza, quei mormorii fanno sì che tutto sia in armonia con la verità dell’esistenza.
4) L’approccio alla vita attraverso la sofferenza sembra essere una questione culturale, mentre noi occidentali abbiamo paura di soffrire, gli orientali riescono mediante la loro spiritualità ad avere una visione del dolore "nuova" di purificazione. Quanto incide la mancanza di un profondo "credo" nel superamento dei momenti difficili?
L’approccio alla sofferenza è una questione umana oltre che culturale. Se pensiamo che i greci, da cui riceviamo il pensiero occidentale, chiamavano l’uomo "il mortale", ci accorgiamo che probabilmente si ponevano il problema di essere in grado di morire piuttosto che vivere. Ci accorgiamo inoltre che con il cristianesimo e la sconfitta della grecità, l’uomo si è agganciato alla salvezza dell’anima. Alla sua immortalità. Dunque alla speranza. Il filosofo contemporaneo Galimberti, dice che la coscienza collettiva occidentale è comunque di stampo cristiano: peccato originale, redenzione, salvezza dell’anima; e così che si basa anche la scienza, ci fa notare: ignoranza, ricerca, progresso. Dunque anche se non sia evidente il nostro credo, penso che nel profondo ci si aspetti qualcosa dopo la morte. Il dolore ce lo teniamo e molto spesso ci si ammala di dolore. Per quanto riguarda gli orientali so che non pensano come noi e noi di conseguenza non pensiamo come loro.
5) Descrivi il senso d’abbandono in: "mentre il mare brilla calmo ’ sento un deserto senza confini’ in quaranta metri quadri" - ma allo stesso tempo fai riferimento alla possibilità di condivisione della solitudine non necessariamente con l’isolamento - "Ci puoi trovare a capofitto ’dentro vuoti esistenziali ’senza mai e poi mai toccare terra" - come possibilità di ricominciare con "il mio grido ai resti". Fai riferimento solo alla rottura di una storia d’amore?
Per me la poesia è una fotografia, uno scatto della sensazione del momento, pertanto non vivo una condizione perpetua di abbandono. La tua è comunque un’ottima osservazione: il mare brilla calmo (la bellezza di ciò che ci circonda), i resti (la visione del passato e del presente), ci puoi trovare (nella relazione umana), emerge sempre qualcosa di gioioso che c’è, è qui e non ci abbandona.
6) Nei componimenti in prosa non mancano riferimenti a scenari urbani, che rapporto hai con il luogo in cui vivi?
Oggi ho un bel rapporto con gli scenari urbani che vivo. Molte delle mie composizioni sono state scritte in giro di notte per le strade di Torino, sui mezzi pubblici deserti, nelle zone che più amo della mia città.
7) Per un cantautore il legame tra musica e poesia è sottile?
Il verso libero è libero appunto, il testo di una canzone non lo è tantissimo, perché è vincolato alla melodia, sebbene anche la poesia sia musicale e ritmica. Per quanto riguarda questa mia seconda opera, ho in mente di realizzare il disco, ovvero canzonare parte dei pezzi. Ho già cominciato il lavoro e ti assicuro che è stato molto più semplice scriverli.
8) Perché leggere "Grida e mormorii"?
Questa è una domanda a cui non so rispondere. So che diversi miei lettori aspettano il secondo. Ed eccolo in uscita.
9) Qualcosa da aggiungere?
Nient’altro.
Ringrazio Gianluca per l’intervista.
Grazie a te, Marianna.
Marianna Iannarone