Marta Bambi poetessa emergente nasce nel 1994 a Firenze. Ha conseguito il diploma presso il liceo artistico della sua città e attualmente lavora nell’ambito della decorazione.
La scrittura, in particolar modo la poesia, rappresenta il suo più grande interesse da sempre, complice la passione trasmessale dal nonno nella lettura di grandi autori.
“Macerie e camelie” è la sua prima opera edita.
Benvenuta Marta, Tempra Edizioni è lieta di presentare in questa breve intervista, la tua prima raccolta poetica dal titolo “Macerie e camelie”.
MARTA: “Ed io sono lieta di poter godere di questa opportunità. Grazie Marianna! Un saluto a te e a tutti lettori.”
1) Il tuo approccio alla poesia è avvenuto attraverso la lettura e l’interpretazione dei componimenti di: Alda Merini, Eugenio Montale e Goliarda Sapienza. Cosa apprezzi di più della loro poetica?
Senza dubbio l'autenticità, ciò che nella poesia ho sempre ricercato maggiormente. Ognuno degli autori sopracitati presenta un aspetto che li accomuna, per me rivelatorio ed affascinante: l'accettazione del male in ogni sua forma, che non nega tuttavia la prospettiva di una vita migliore ma anzi, la ricerca ad ogni costo. L'intento di portare alla luce la problematicità dell'esistenza umana senza artifici o retorica è molto presente sia in Alda Merini che in Goliarda Sapienza. La loro poetica è spontanea, istintiva, tagliente come lama, feconda poiché si ricongiunge al primordiale e non tralascia la sacralità della parola. È una parola che salva, uccide, spegne e accende, divide e allontana; una parola colma di speranza. Di Eugenio Montale ho sempre ammirato la costante ricerca riguardo l'esistenza dell'uomo nella contemporaneità, volta a colmare il vuoto dell'animo causato dal “male di vivere”. In sintesi, la capacità di saper convertire il dolore in straordinaria forza, in energia creativa.
2) Qual è il ruolo socio - culturale della poesia, oggi, in questa epoca ibrida?
Non credo che la poesia di per sé rivesta un ruolo o assuma una funzione specifica. Sarà perché l'associo istintivamente ad un qualcosa di fortemente emozionale e ben poco razionalizzato. Sono però fermamente convinta che si tratti di una grandissima risorsa per giungere alla comprensione e alla consapevolezza di un dato momento, dello spazio occupato dal nostro essere che vive per sé stesso e per gli altri. Poesia è darsi, donare all'altro parte di questa consapevolezza ma anche avere uno sguardo differente su ciò che già conosciamo o meglio, su ciò che ci sembra di conoscere; uno sprazzo di nuova luce che è come un lampo fugace e che sta a noi tenere in vita. “Accendere una lampada e sparire/questo fanno i poeti”, per citare la poetessa statunitense Emily Dickinson.
3) Come mai, nel tuo immaginario, hai accostato le camelie alle macerie?
Sicuramente per rimandare ad un contrasto ben preciso. La camelia è un fiore semplice ma che racchiude in sé il sacrificio, specialmente se compiuto in nome dell'amore, per via delle numerose leggende orientali relative alla sua valenza simbolica. Il fiore, detto anche “Rosa del Giappone”, non perde i petali ma cade dalla pianta nella sua interezza e ciò si collega inevitabilmente ai concetti di solidità, perfezione e bellezza, anche se celata ai più. Le macerie, al contrario, simboleggiano fragilità e incompiutezze, i detriti che, come i germogli dell'essere, caratterizzano il nostro cammino rendendolo unico.
4) In “Macerie e camelie” l’amore si presenta come la più importante scoperta del proprio “io” ispirato dalla natura, spazio nel quale convergono equilibri e squilibri. Ce ne vuoi parlare? Certamente. Il sentimento che intendo raccontare attraverso i componimenti presenti nella silloge è da considerarsi in senso più ampio rispetto alla visione del rapporto amoroso fine a sé stesso. È da qui, tuttavia che parte e si sviluppa la mia ricerca, legata ad una personale esperienza di relazione difficoltosa e vissuta a metà che ho sentito il bisogno di interiorizzare, “suggellare” e concludere attraverso queste liriche. La natura è spettatrice ma anche scenario di un mutamento introspettivo e riflette sia la quiete che la burrasca del proprio “io” poiché come questo in costante divenire; è una forza esterna che rifugge dal nostro controllo, difficilmente, se non per nulla addomesticabile ma che può divenire parte integrante dell’essere se questo non vi si oppone, accettandone tutti gli aspetti e facendo tesoro di essi. Non si tratta certo di rassegnazione ma d’una forte presa di consapevolezza.
5) “Fiore di loto/ che dal seme e dal fango/ rinasce timido” – in questi versi si denota la delicatezza di esternare delle emozioni e la totale fragilità, ma anche la voglia di trovare la forza per superare dei momenti difficili, facendo leva sulle proprie risorse. Si può amare anche ciò che scivola via, lontano da noi?
Credo dipenda da svariati fattori. Non sempre percepiamo l’allontanamento allo stesso modo anzi, nel mio caso questo avviene raramente. Per quale motivo è accaduto? Vi è rimedio? Probabilmente quando qualcosa o qualcuno se ne va non smette di vivere dentro di noi. Spesso però amore è anche ciò che vogliamo per noi stessi, un nuovo inizio, una rinascita raggiunta attraverso risorse di cui non sappiamo neanche di disporre perché all’apparenza celate, appunto, da una fragilità. Credo proprio che questo accada quando amare significa, inevitabilmente, lasciare andare.
6) “Sentirsi stranieri/ in terre desertiche/ lasciar che il cuore mormori/ come la brace/ impazza nel camino/ Di un malaugurato destino” – il destino d’ognuno è amare - “Niente fu quel che tra di noi/accadde/ ma una tua inezia bastò/ ad appiccar la fiamma” o credere che lo stesso si incentri sull’amore?
Il mio pensiero a riguardo viaggia di pari passo con quello di un grande filosofo, Martin Heidegger, secondo il quale “La presenza dell’altro improvvisamente irrompe nella nostra vita, nessuna anima può giungere a patti con questo. Un destino umano si dona a un altro destino umano.” Sinceramente non sarei in grado di esprimerlo in maniera più esaustiva.
7) “Saprai esumare/ l'alba/ dalle macerie“ – d’altronde demolirsi è essenziale per comprendere dalla più profonda sofferenza chi si è realmente e, ciò che davvero conta?
Credo fermamente di sì. Scavare in noi stessi più a fondo che possiamo, toccare quell'abisso, distruggersi (e perlopiù intendo distruggere certe convinzioni) per poi riedificarsi, sono tutte azioni volte alla riscoperta di noi stessi oltre che una spinta verso una costante ricerca di miglioramento. In molti sostengono che sia fondamentale accettarsi per ciò che si è. Non mi sono mai trovata d’accordo su questo, il mio obbiettivo è quello di migliorarmi costantemente e per farlo necessito di fare i conti con le mie ombre. È faticoso ma edificante. Spero vivamente, attraverso le mie poesie, di far passare anche questo messaggio.
8) Perché un lettore dovrebbe leggere questo libro?
Ammetto di non saper rispondere a questa domanda. La mia speranza è che sia proprio il lettore stesso a raccontarmi quel che il libro ha suscitato in lui, sempre che abbia suscitato qualcosa. Non ho questa pretesa.
9) Qualcosa da aggiungere?
Niente in più se non un sentito Grazie, a tutti voi di Tempra e a chi leggerà!
Ringrazio Marta per l’intervista.
Marianna Iannarone